lunedì 18 febbraio 2013

Alberto Bagnai - Moneta e prezzi (dal fruttarolo)

Per quelli che: Riprendendo la sovranità monetaria e stampando denaro l' inflazione andrebbe alle stelle e per quelli che: se la BCE stampasse denaro per adottare una politica espansiva e favorire la crescita, l' inflazione a due cifre è dietro l' angolo, ecco un estratto dal libro "Il tramonto dell' euro"...un post un po' tecnico che vi costringe a leggere con un pochino di attenzione.

 (scusate, siccome mi servirà come punto di appoggio per scalzare dal suo piedistallo uno dei tanti geni dell'economia che si propongono di salvarci da noi stessi, pubblico qui un estratto del mio libro. Estratto che Gennaro Zezza ha criticato, dicendomi, in buona sostanza: "Ma Alberto, insomma, secondo me quella parte è un po' superficiale, perché nessun economista ha mai potuto seriamente pensare che i prezzi siano dati dal rapporto fra massa monetaria e beni in circolazione...". Santa ingenuità! Vedi, Gennaro, il nostro problema è che noi abbiamo studiato l'economia, perché ci interessava - caso tuo - o semplicemente per l'abitudine di fare comunque seriamente quello che il destino ci ha condotto a fare (caso mio e ovviamente anche tuo). Ma i geni dell'economia oggi in circolazione per gli studi televisivi sono dei matematici falliti che non hanno certo tempo da perdere per interrogarsi sul significato delle loro equazioni, né per consultare le statistiche della Banca Centrale Europea. Diamo loro una mano a riprender contatto con la realtà, perché l'informazione che essi diffondono, siccome è facilista, è anche fascista, e in Italia, piaccia o no, questa ideologia è ancora molto radicata).


Da "Il tramonto dell'euro", der Cavajere Nero, Reggio Emilia: Imprimatur, p. 199

Al mercato della frutta
Un mio maestro si esprimeva spesso con un contenuto sarcasmo verso gli economisti che lui definiva “di palazzo”, quelli che a fare la spesa non ci vanno mai, e quindi ignorano i problemi della gente comune. In effetti, nella mia esperienza personale, non posso che dargli ragione. Al mercato, quello vero, quello rionale, s’imparano tante cose. Sentite cosa mi è successo un paio di mesi fa.

Ero al mercato del Trionfale, in cerca di niente di particolare. Mi colpisce su una bancarella una cassetta di ciliegie all’insolito prezzo di 6 euro al chilo. Capite, vero, a cosa mi sto riferendo? Alla drupa del Prunus avium, sì, quell’oggettino che prima dell’entrata nell’euro, per chi se lo ricorda, si trovava anche a 6000 lire al chilo, e che quindi oggi te lo trovi a 12 euro (voi direte: “No, scusa, a 6 euro!”. E io vi dico: “Ma ci andate al mercato? Sarete mica economisti di palazzo...”). Insomma, questi 6 euro, per un economista, e per di più goloso... attiravano l’attenzione...

A mia volta attiro l’attenzione del fruttarolo (si chiama così), chiedendo un chilo di ciliegie. Iniziano le solite manovre: prima, con abile gesto, le prende da sotto il mucchio (dove ovviamente era solo tenebra, stridor di denti e muffa). Allora io gli significo con cortese fermezza di non provarci, che preferisco quelle buone. Poi me ne carica un chilo e mezzo. Ma io che ci faccio con un chilo e mezzo? E gli chiedo di scaricare il piatto della bilancia. E qui subentra la mozione degli affetti: “Guardi, dotto’, si mme le porta via je faccio ’n prezzo”. Insomma, come quello delle aguglie, ve lo ricordate?

Ma questa volta non era un sogno, e quindi, come dire, aderisco alla cortese offerta: “Va bene, fai due chili dieci euro”.

Mentre cerco l’odiata banconota nel portafogli, squilla il telefono: non il mio, il suo. Lo vedo guardare con aria preoccupata, e poi, con un cenno d’intesa, decide di rispondere.

“Mario? Dimme Mario... No, no, tu nun disturbi mai... No, c’ho un cliente, ma è ‘na brava persona, nun te preoccupa’, dimme... Come? Cosa? A Mario! A Mariooooo! Ma si tte l’avevo detto du’ ggiorni fa? Ma allora nun me voi proprio sta a ssenti’... M’hai sforato n’artra vorta er targhet de M3! Però così nun se po annà avanti. Vabbe’, allora quant’è er dato? Aspetta che mo ‘o segno... Sì, d’accordo, vabbe’, grazzie che m’a hai detto. Sì, sì, nun te preoccupa’, ce lo so, ce lo so... So tempi brutti pure pe’ tte... Vabbe’, ciao, daje, te chiamo dopo...”

E attacca.

Io, un po’ perplesso, porgo la banconota.

E lui: “No, aspetti, dotto’, me dispiace, ce sta un piccolo problema, sa, m’ha chiamato Mario...”.

E io: “Lo conosco?”

E lui: “Be’, penzo de sì, quello d’a a biccié, Draghi...”

E io: “Ah, lo conosce? Mi fa piacere, me lo saluti quando lo incontra. Ma intanto, io, se potessi, tornerei alla mia umile dimora...”

“No, vede, dotto’, qua ce sta un probblema. Io un prezzo nun glielo posso più ffa. Perché Mario m’ha detto che gl’è sfuggita de mano l’offerta de moneta... ‘O sa come so’ i regazzi. Quello è da poco che sta lì, ancora nun s’è abbituato...”

“Sì, ma io che c’entro?”

“No, dotto’, pe’ ccarità, lei nun c’entra gnente, ce lo so. Solo che quanno ho fatto ’sto prezzo, io m’ero basato su ’na massa monetaria de 10.000,4 mijardi de euri. Mo questo me cambia le carte ‘n tavola...”

“Ma perché, scusi, qual è il problema?”

“Ma dotto’, lei me pare uno che ha studiato, ecché nu’ lo capisce?”

“Veramente no”

“Ma scusi, ce lo sanno tutti: er livello dei prezzi è dato da ‘a massa monetaria divisa pe’ ‘a quantità de bbeni. È l’equazione de Fisce (n.d.r. Fisher)”

“Sì, va bene, ma questo Fisher era anche quello che nel novembre del 1929 diceva che tutto stava andando per il meglio...”

“Dotto’, io questo nun ce lo so, io so solo che mmo me tocca ricalcolaje er prezzo...”

E mentre io lo guardo allibito, lui estrae una calcolatrice e lo sento che borbotta: “Dunque... Oggi M3 sta a 10400 mijardi... La massa de bbeni nell’Eurozona è...”

Penso di defilarmi, prima che lui possa finire il calcolo, ritoccando al rialzo il prezzo, quando Milton Friedman si avvicina al banco e chiede: “Scusi, le zucchine a quanto stanno?”.

“Ah!” penso: “Meno male: è effettivamente un sogno pure questo”.

E mi sveglio.

Quelli che “la moneta causa i prezzi (e quindi ci vuole una Bancacentraleindipendente..).”

Ma come si fa?

Continua a stupirmi la diffusione dell’idea che il livello dei prezzi sia causato dalla quantità di moneta in circolazione. Il ragionamento pare sia questo: siccome uso i soldi per comprare i beni, il prezzo sarà il rapporto fra quanti soldi circolano, e quanti beni sono sugli scaffali. Peccato che sia un ragionamento che non funziona, e al quale nessun economista serio ha mai dato credito. Eppure è su questo ragionamento fasullo che si basa, in ultima analisi, l’idea che la Banca centrale debba essere “indipendente”. Perché solo se pensi che la moneta “causi” i prezzi, puoi trovare opportuno che la creazione di moneta sia sottratta al potere esecutivo per essere affidata a un quarto potere “tecnico” e “indipendente”. Per la precisione, questa conclusione richiede altri tre presupposti:

1) che l’inflazione sia un male assoluto;

2) che politici democraticamente eletti farebbero comunque un uso distorto della creazione di moneta (ad esempio usandola per finanziare spese clientelari prima delle elezioni);

3) che i “tecnici” ne farebbero sempre e comunque l’uso corretto.

Le cose che non funzionano, in questo ragionamento, sono diverse: la relazione fra moneta e prezzi è più complicata di quanto si voglia far credere; l’inflazione, entro certi limiti, non è un male assoluto ma un male relativo, nel senso che avvantaggia alcune categorie e ne svantaggia altre, come i dati e il ragionamento dimostrano; e infine i “tecnici” non hanno dato grande prova di sé quando sarebbe stato necessario, anche perché la loro “indipendenza” è stata essa stessa non assoluta, ma piuttosto relativa.


L’ideologia dichiarata sottostante al divorzio quindi era un’ideologia fasulla. Ce n’era un’altra, però, non dichiarata, che ha funzionato benissimo. Cerchiamo di mettere ordine in questi argomenti, cominciando dal primo: la moneta causa i prezzi.   Intanto, né il bancarellaro, né la multinazionale, quando mettono il prezzo sul cartellino, vanno a vedere quale sia la massa monetaria. Guarderanno miriadi di cose: il costo delle materie prime e della manodopera, la strategia dei concorrenti, lo stato della domanda nel loro mercato, ecc. Tutto, tranne la massa monetaria. Peraltro, anche se questa fosse importante, loro non avrebbero modo di conoscerla, perché le statistiche vengono pubblicate con settimane di ritardo. Quindi, a meno di non avere, come il bancarellaro del mio incubo, la fortuna di essere amici di Mario (quel Mario, beninteso), non ci sarebbe proprio modo di fare il conto. Chiaro no? L’idea che la quantità di moneta in circolazione causi direttamente i prezzi è semplicemente assurda.   Gli economisti sanno che l’effetto della moneta sui prezzi non è diretto (secondo l’equazione: prezzo uguale moneta diviso beni), ma indiretto, cioè passa, guarda caso, per la solita legge della domanda e dell’offerta. Vi faccio un esempio banale. In questo momento molti di noi stanno stringendo i cordoni della borsa, rinunciando a spese che desidererebbero o dovrebbero fare, per una quantità di motivi, incluso il fatto che lo Stato sta riscuotendo nuove tasse. Se invece di finanziarsi sottraendoci liquidità con le tasse, lo Stato si finanziasse creando liquidità, molte delle spese cui stiamo rinunciando diventerebbero di nuovo possibili: invece di pagare la rata dell’Imu, compreremmo qualcosa. In questo modo la domanda di beni e servizi aumenterebbe. Certo, in linea di principio questo potrebbe generare una certa pressione sul livello dei prezzi (per la legge della domanda e dell’offerta). Attenzione: dico “potrebbe”! Perché nelle condizioni attuali, con risorse disoccupate, gente a spasso, fabbriche che chiudono, di effetti inflazionistici difficilmente ce ne sarebbero: siamo in condizioni di eccesso di offerta, capite? Le fabbriche chiudono perché non riescono a vendere, cioè perché non c’è abbastanza domanda. Quindi ora una maggiore creazione di moneta, oggi, non causerebbe inflazione. In condizioni più floride, sperando di tornarci, potrebbe invece farlo, ma in ogni caso l’effetto sarebbe indiretto, passerebbe cioè per la domanda di beni e servizi.   E qui si arriva alla seconda cosa che non va.   Quando andate a fare la spesa, voi, vi portate sempre dietro un sacchetto di monetine e banconote? Non credo. La stragrande maggioranza delle transazioni avviene con moneta bancaria, movimentando depositi bancari, utilizzando credito bancario. La moneta, intesa come mezzo di pagamento, non si identifica cioè con il circolante, con le monete e le banconote che abbiamo in tasca, che sono una percentuale relativamente ridotta del totale dei mezzi di pagamenti   La Banca centrale, di questa massa di mezzi di pagamento dai quali dipende l’effettiva domanda di beni, non ha il controllo diretto. Gli economisti, in particolare quelli keynesiani, dicono che la moneta non è “esogena”, cioè controllata da una forza “esterna” e indipendente dal circuito economico (la Banca centrale), ma “endogena”, cioè determinata, in ultima analisi, dalle condizioni “interne” al mercato del credito. Guardate ad esempio cosa sta succedendo oggi. La Bce ha “iniettato” nel sistema svariate centinaia di miliardi di euro attraverso le operazioni di rifinanziamento a lungo termine (LTRO), ma le banche non hanno soldi da prestare. Perché? Per diversi motivi, incluso quello, banale, che preferiscono non erogare credito, in un periodo nel quale i loro bilanci sono fragili, e soprattutto lo sono le condizioni economiche generali, per cui chi presta non sa se rivedrà indietro i soldi.   Capito cosa significa che la moneta è “endogena”? Significa che l’ammontare totale dei mezzi di pagamento a disposizione per finanziare le spese (incluso il credito bancario) dipende in modo complesso dalle condizioni del sistema, inclusa la fiducia dei vari operatori del credito. La Banca centrale può governare indirettamente questo processo, ad esempio tramite i tassi d’interesse, ma non ha un controllo meccanico e diretto della creazione di moneta, intesa in senso ampio come insieme dei mezzi di pagamento (quello che gli economisti chiamano con la sigla M2 o M3). Lo dimostra il fatto che gli obiettivi di crescita della massa monetaria dichiarati dalla Bce, fissati al 4.5% da una decisione del Consiglio direttivo annunciata il 1° dicembre 1998 (Duisenberg, 1999), sono stati regolarmente disattesi nel tempo, come doveva ammettere con un certo imbarazzo il nuovo presidente Trichet qualche anno dopo, farfugliando che però l’obiettivo andava valutato in un non meglio specificato “medio periodo” (Trichet e Papademos, 2004).   E le cose poi non sono andate meglio.
     

La Fig. 35 trasmette bene entrambi i messaggi: si vede come da un lato la Bce abbia regolarmente disatteso, anche nel “medio periodo”, gli obiettivi che si era data (il tasso di crescita della massa monetaria è sempre stato superiore al 4.5%, quindi non c’è media che tenga...), e come dall’altro la crescita della massa monetaria sia stata sostanzialmente sconnessa dall’inflazione, che si è mossa molto di meno, rimanendo sostanzialmente aderente all’obiettivo del 2% nella media dell’Eurozona.

I due snodi del ragionamento secondo cui la Banca centrale deve essere indipendente, perché controllando la moneta controlla l’inflazione, sono entrambi fasulli: la Banca centrale non riesce a controllare l’offerta complessiva di moneta, che però non sembra influenzare troppo il livello dei prezzi. Nel 2001, quando la crescita di M3 superò il 10%, l’inflazione non raggiunse nemmeno il 3%[1].

Del resto, se la moneta causasse i prezzi, allora “moneta unica” implicherebbe “inflazione unica”. Ma i dati europei ci dicono che le cose sono andate in modo diverso. Dall’entrata nell’euro, i tassi d’inflazione dei paesi membri, che prima si erano molto avvicinati, si sono sparpagliati di nuovo, dando luogo a quegli scarti che, come ricordiamo, alimentano il ciclo di Frenkel, determinando la svalutazione reale del centro rispetto alla periferia.

(voi penserete: ma chi è il genio che oggi, nel XXI secolo, ragiona in un modo che, come ci ha ricordato istwine, veniva considerato fallace due secoli or sono? Un po' di pazienza e lo saprete...).

[1] Nota tecnica per gli espertoni, i quali diranno: “Sì, ma quel grafico non dimostra nulla, bisogna anche tener conto della crescita, cioè di quante transazioni la massa monetaria deve aiutare a svolgere, e della velocità di circolazione, cioè di quante volte la moneta passa di mano in un anno”. Certo! Lo dice anche Duisenberg (1999): l’obiettivo del 4.5% “si basa su una crescita reale del 2-2.5% all’anno, e su una riduzione della velocità di circolazione di M3 attorno allo 0.5-1% all’anno nel medio periodo”. I conti (per chi li sa fare) tornano. Dalla teoria quantitativa della moneta, MV=PY, usando le lettere minuscole per i tassi di variazione otteniamo m + vy = p, che con le cifre di Duisenberg diventa: 4.5 – 0.5 – 2 = 2 (nota: Duisenberg suppone che la velocità di circolazione diminuisca, da cui il -0.5). Solo che siccome la crescita reale dell’Eurozona è stata solo di 1.5 (in media), e quella della massa monetaria di circa il 7% (anziché il 4.5%), sembrerebbe che la riduzione della velocità di circolazione sia stata dalla 4 alle 7 volte maggiore di quella prevista dagli altri espertoni, quelli della Bundesbank! O forse il problema è che la moneta non causa meccanicamente i prezzi, come loro continuano a raccontarci.

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